La realtà sociale di Modugno del Settecento era molto semplice, come quella pugliese del resto: grandi proprietari della terra (baroni, nobili, clero) contro un’enorme massa di braccianti, senza diritti e in realtà senza terra perché lavoravano quella dei signori, ai quali spesso dovevano anche l’attribuzione di una casa per vivere.

La maggior parte delle terre erano di proprietà ecclesiastica, poiché a Modugno erano presenti due conventi, due mona­steri e un gran numero di sacerdoti, dia­coni e suddiaconi del Capitolo della maggiore Chiesa di Modugno tra i quali veniva suddivisa la consistente proprietà terriera della Chiesa. La forma di contratto agricolo scelta per queste terre era l’enfiteusi, concessa non solo ai braccianti e ai po­veri contadini, ma anche ai nobili e ai ricchi proprietari borghesi: “L’enfiteuta ave­va il pieno godimento della terra e un contratto a lunga scadenza, molto spesso trasmesso di padre in figlio, che non sempre veniva aggiornato ai prezzi di mercato e per­tanto non teneva conto della inflazione e della svalutazio­ne della moneta” (da Gabelle e dazio a Modugno nella seconda metà del 700 alla luce delia politica generale del Regno di Napoli di Raffaele Macina in Nuovi Orientamenti n 2, Dicembre 1979, pag. 19). Altre forme di contratto erano la colonia parziale, dove uno o più coloni lavoravano un fondo altrui, corrispondendo al proprietario una parte dei prodotti in natura e potendo vivere nella casa colonica, e l’affittanza, cioè il godimento di un fondo concesso per un tempo e un compenso in denaro predeterminato. "La maggior parte dei nobili e dei borghesi, però, preferiva assumere di volta in volta la manodopera occorrente per i diversi lavori agricoli e attribuire ad un sorvegliante, a un mas­saro o ad un capo bracciale il compito di interessarsi real­mente della conduzione delle loro terre, di reperire e di scegliere di volta in volta la manodopera occorrente. Que­sta figura contadina, che praticamente era il fiduciario del «padrone» e l’intermediario fra questi e i braccianti, ave­va un potere rilevante sia sotto il profilo sociale che sotto quello economico, per cui le sue condizioni di vita si di­staccavano dalla massa dei braccianti e degli altri conta­dini e si caratterizzavano per una certa agiatezza” (da Gabelle e dazio a Modugno nella seconda metà del 700 alla luce delia politica generale del Regno di Napoli di Raffaele Macina in Nuovi Orientamenti n 2, Dicembre 1979, pag. 19).

Raffaele Macina nei suoi studi sul Catasto Onciario di Modugno ci dice che nel 1752 la popolazione attiva per il 77,29% era impegnata in agricoltura, ma attraverso ulteriori dati descrive una comunità non prettamente agricola e capace di essere concorrenziale con il futuro capoluogo Bari. Nel 1752 solo il 10,5% della popolazione risulta essere impegnata in artigianato e manifatture, ma nel 1806 il reddito imponibile sugli edifici industriali a Modugno era di 1.097,28 ducati, mentre a Bari era di 1.180 ducati, con una differenza di poco meno di 83 ducati. Ciò significa che le attività industriali modugnesi erano praticamente della stessa portata di quelle baresi e che certamente non erano nate dal nulla, ma da attività fondate nei decenni precedenti, cioè da quel 10% di popolazione attiva alla metà del Settecento. Modugno registra una maggiore presenza di edifici industriali (frantoi, mulini, magazzini di olio, mandorle e di altri prodotti, ecc.) rispetto ai centri più vicini, anche quelli sul mare come Giovinazzo. Nella prima metà dell’Ottocento la città contende a Palo del Colle e a Bitonto (centri complessivamente più ricche) il primato e il controllo del mercato e della lavora­zione dei prodotti agricoli dei paesi limitrofi, godendo probabilmente della maggiore vicinanza a Bari e della possibilità quindi di esportare via mare i suoi prodotti agricoli e le lavorazioni dei suoi opifici industriali.

L’8,2% della popolazione modugnese nel 1752 era impegnata in attività connesse ai servizi domestici. Servi e domestici non erano solo al servizio delle famiglie nobili e benestanti, ma anche dei monasteri e dei conventi presenti. Solo 63 donne risultano attive proprio nel settore dei servizi domestici: 39 serve in famiglie no­bili e borghesi, 18 serve nei due monasteri, 4 nutrici e 2 cameriere in famiglie nobili. Le altre donne registrate nel Catasto Onciario sono 70 suore e 15 serve zitelle, cioè donne in avanti con gli anni o senza famiglia alle spalle che potesse mantenerle e quindi costrette a chiudersi in convento. Macina analizza molto bene il “non ruolo” della donna nel Settecento, evidenziando come nonostante siano partecipi in molte attività della società contadina (raccolta, cernita e conservazione delle olive in acqua, in sale, pestate e poi messe a bagno in olio; raccolta, pulitura e schiacciatura delle mandorle; raccolta dei cereali con sbucciatura e con­servazione; ma anche zappare, seminare, piantare) di fatto vengono considerate improduttive, titolari solo di ruoli all’interno della famiglia (madre, figlia, vedova). (da Gabelle e dazio a Modugno nella seconda metà del 700 alla luce delia politica generale del Regno di Napoli di Raffaele Macina in Nuovi Orientamenti n 2, Dicembre 1979, pag. 22).

 

© www.vitemairaccontate.it