Michele Loconsole, figlio di Giovanni e Anna Rosa Barba, muore a soli 28 anni nel maggio 1813, sepolto in povertà a San Domenico. Bracciante salariato, probabilmente lavorava le terre dei nobili baresi in uno dei vicini casali; una vita dura, condizionata dalle intemperie invernali e dal sole cocente estivo, da lunghe distanze percorse per raggiungere i campi dal cuore della città in cui risiedeva (Corte Colagualano), e da scarsità di denaro, cibo e igiene.

Lascia una giovane vedova, Rosa Lariccia di 24 anni, con due figli piccoli: Giovanni che ha appena compiuto 7 anni e Giuseppe Domenico di due anni. Michele e Rosa si sono sposati nel giugno del 1805, giovanissimi, come spesso succede tra i contadini. E come succede nelle povere famiglie contadine, presto si scontrano con la terribile realtà della perdita prematura dei figli, a causa delle carenze igienico-sanitarie, della mancanza di cibo e delle frequenti epidemie: nel luglio del 1810 il secondogenito Giuseppe Domenico muore a due anni appena compiuti, ma dopo soli nove mesi nell’aprile del 1811 nascerà un secondo Giuseppe Domenico.  

Nel luglio del 1818 Rosa si risposa con Michele Marino, quarantenne villano rimasto vedovo con figli agli inizi del 1817, residente in strada San Vito, nato a Carbonara. “Un fattore che caratterizza la demografia di Bari nel passato è l’alta presenza di donne vedove, giovani e meno giovani, tra i residenti. Il fenomeno della vedovanza femminile, già evidente sotto i 30 anni, assume connotati netti dai 35-40 anni in su e lo scarto tra maschi e femmine fra i vedovi è sempre favorevole alle femmine. (…) In complesso nella Bari del 1636 contro 64 vedovi sono presenti ben 590 vedove. La tendenza a un’alta presenza di vedove tra gli abitanti risulta ribadita nel 1753: i vedovi sono 142, le vedove ben 878. (…) Inoltre condizionava la maggiore presenza di vedove nella popolazione la maggiore facilità che aveva il vedovo di risposarsi. L’accesso alle seconde nozze vedeva nettamente favorito l’uomo per il fatto che era il solo a cui era riconosciuto il dovere, e insieme la capacità, di provvedere col suo lavoro al sostentamento della famiglia. (…) la donna era fortemente penalizzata quanto ad accesso alle seconde nozze e una volta divenuta vedova era generalmente destinata a restare nello stato di vedovanza fino alla morte. La ‘collettività’ riteneva riprovevole che una vedova si risposasse mentre riteneva ‘giusto’, anzi ‘necessario’ che un uomo rimasto vedovo con figli si risposasse. E il vedovo si risposava con donne di gran lunga più giovani mentre la vedova – se povera e sola – era spesso accolta per solidarietà nella famiglia di un parente o andava a servizio e mendicava” (da "Popolazione, società e famiglia tra Cinquecento e fine Settecento", di Giovanna De Molin, in Storia di Bari nell’Antico Regime vol. 1, pagg. 133-134, Laterza, Bari 1991).  

Sola, senza una famiglia di origine, Rosa sceglie di garantire un futuro migliore ai piccoli Loconsole, e soprattutto di garantire loro la presenza di una figura paterna affettuosa come sarà quella di Michele Marino e di un gruppo unito e solidale di fratellastri e sorellastre. Vito, Emanuele e Filippo Marino, nati da questo matrimonio, si uniranno ai figli dei precedenti matrimoni, fratelli di sangue e fratelli di fatto.  

Rosa Lariccia muore nel settembre del 1836 nella casa di Tresca a 46 anni. Michele Marino muore a 88 anni nell’aprile del 1862, nella casa in zona Castello; dopo la morte di Rosa non si è risposato.

Giovanni Loconsole e Lucia Marino

Domenico Loconsole e Giulia Losole

 

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