Alla fine del XVIII secolo Bari si presentava come una penisola sopraelevata sul mare, circondata da paludi (dove si coltivava il lino), da orti, frutteti e coltivazioni di cotone. Le mura sul mare erano carrozzabili (la nostra Muraglia) e offrivano una vista che molti visitatori, anche stranieri, non mancano di elogiare. Emanuele Mola (citato da Enrica Di Ciommo, Bari 1806-1940, pag. 42, Milano 1984) la descrive come “troppo deliziosa, così per la sua nettezza, come per il continuo aspetto del mare e della vicina riviera tutta sparsa di belle case di campagna e vaghi giardini, del porto e finalmente per i suoi vistosi palazzi che l’adornano, e buoni baluardi provveduti di cannoni ed artiglieria. Le sue strade interne, a riserva di poche, sono poi alquanto anguste ed ineguali e dal tempo rese impraticabili, in guisa che hanno necessariamente bisogno di lastricarsi nuovamente come si spera tra poco”.

In effetti al suo interno la città presenta una situazione igienico-sanitaria molto precaria. Le strade strette e affollate di costruzioni che andavano dalle baracche dei senza tetto ai banchi e alle officine di commercianti e artigiani (che le realizzavano vicino alle loro case senza bisogno di alcuna licenza), erano invase di liquami, immondizie e morchia di olive. Non c’era sistema fognario e neanche un’adeguata pavimentazione capace di canalizzare le acque. A completare uno scenario di sovraffollamento e cattive condizioni igieniche si deve tenere conto che il numero delle famiglie era superiore alla disponibilità di abitazioni, tanto è vero che era molto diffusa la coabitazione, soprattutto tra i meno abbienti.

I Francesi cercarono di mettere ordine in questa situazione caotica e decadente. Vennero presi provvedimenti per risanare le strade, creare una rete fognaria e demolire le costruzioni abusive, ma soprattutto si avviarono le procedure per realizzare il nuovo borgo al di fuori delle mura. Inoltre si avviò un fitto programma di ristrutturazione dei conventi confiscati al clero, che sarebbero dovuti diventare i nuovi edifici pubblici: ristrutturati e imponenti, adatti a dare alla città l’aspetto di un vero e proprio capoluogo, centro del potere e dell’economia.

Fino ad allora Bari aveva pochi edifici pubblici laici di vero lustro: il palazzo del Sedile, un castello diroccato, un teatro di legno. Neanche le case dei nobili erano veramente sfarzose, ma piuttosto essenziali, avevano giardini interni e pozzi privati. Caratteristiche le case palazziate, a cui si accedeva mediante un androne coperto in muratura, che si apriva su un cortile interno e dove una scala interna impostata su archi rampanti portava ai piani superiori; completavano la costruzione una torretta e al piano inferiore magazzini, piscine di deposito per l’olio e cisterne di acqua piovana. Le abitazioni erano organizzate in corti, cioè isole di case comunicanti con una strada comune e uscite dette chiassi o chiassuoli, spesso costituiti da un arco.

La riforma edilizia e infrastrutturale della città avviata dai Francesi, insieme alla vendita dei beni immobili della Chiesa, diede l’opportunità ai possidenti, cioè commercianti e artigiani, nuovi borghesi, che avevano a disposizione denaro liquido (più dei nobili che vivevano delle rendite delle loro terre ma non avevano guadagni veri e propri) di investirlo nell’acquisto di case, palazzi e terreni fuori dalle mura che presto sarebbero stati edificati. Parte così una delle attività che contraddistingue la nostra città: la speculazione edilizia.

 

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